La nduja

cosa è…

Il suo nome è sinonimo di genuinità e balsamico ardore per il palato, le sue doti vengono abitualmente identificate con i tratti più tipici della gastronomia calabrese. In realtà la ‘Nduja, l’inconfondibile insaccato morbido e spalmabile a base di carni suinepeperoncino, baciato dalla fama e dal successo internazionale, non è esattamente un prodotto tipico di tutta la Calabria. Le sue origini e il nucleo storico di produzione si rintracciano infatti a Spilinga, un paesino di appena duemila abitanti in provincia di Vibo Valentia, fra i rilievi del Monte Poro e la splendida costa di Capo Vaticano, distante solo sette chilometri. Sul Monte Porola persistenza di tradizioni alimentari molto antiche ha consentito di preservare più di un prodotto d’eccellenza. Lo sanno bene intenditori e buongustai che nel Pecorino del Monte Poro.

La ‘Nduja è una salsiccia a base di grassi, nata nell’uso contadino come mezzo per salvare anche le parti meno pregiate della carne suina. Infatti la si prepara con il cosiddetto “grasso di scarto”, quello che non si usa per produrre le salsicce e la soppressata, ricavato dal sottopancia, dalla spalla e dalla coscia. I ritagli di lardelloguancialepancetta(in parti uguali) vengono macinati finemente con crivelli a mano assieme al peperoncino (dolce e piccante), secondo una proporzione di 300g di “oro rosso” per chilogrammo di carne. Questo spiega il colore rosso intenso del prodotto.

Quindi si aggiunge il sale e si lascia riposare l’amalgama per qualche ora prima dell’insaccatura, per la quale ci si avvale, come da tradizione, dell’intestino ciecodel maiale, chiuso con uno spago all’estremità. Nelle migliori produzioni artigianali l’affumicatura, che dura una decina di giorni, si ottiene bruciando legna preferibilmente aromatica come l’ulivo o la robinia, perché anche l’olfatto sia pienamente appagato. Infine la stagionatura: la ‘Nduja di Spilinga deve trascorrere almeno tre mesi in locali idonei, a temperatura ambiente, per “asciugarsi”, perdere peso e concentrare le proprie doti organolettiche e aromatiche. Attualmente la si trova in commercio, oltre che nella tradizionale forma in budello dall’involucro rosso scuro, anche in vasettocome un comune paté (il che allunga i tempi di conservazione) da gustare con oli extravergine d’oliva pregiati.

Il modo più semplice per apprezzarne la morbidezza e il profumo intenso è spalmarla come crema sul pane casereccio, magari abbrustolito. In realtà la gamma di abbinamenti e impieghi alimentari è molto più vasta e tutta da sperimentare, con il vantaggio di poter stemperare l’impatto del peperoncino che, per i palati meno avvezzi, potrebbe risultare insostenibile. 

 

Ecco allora gli accostamenti alla verdurae alla cipolla di Tropea, alla pasta e ai sughi come il ragù, dove la ‘Nduja può trovare posto nelle dosi desiderate; le minestre di legumi e specialmente di fagioli(ottimi quelli coltivati proprio sull’altopiano del Poro), le polpettedi manzo o maiale arricchite da questa crema “strappalacrime” che può finire perfino in tegamino, ad irrobustire ulteriormente il gusto delle uova. L’uso diluito, del resto, agevola l’abbinamento con il vino, non necessariamente rosso. Una sorsata di Cirò bianco o rosato, per esempio, può aiutare a prendere fiato fra un boccone e l’altro.