Il Fico dottato

Un po’ di storia…

Un antichissimo documento (La Saga di Gilgamesh, Epopea Classica, XI, 70-3 ed Epopea Elamita) ci informa che nel III millennio a.C. in Mesopotamia il re Sumero Gilgamesh di Uruk fece poderose cisterne e canalizzazioni, diede nutrimento con abbondanza di “pecore e buoi, di grano orzo, birra, vino, mosto, olio, datteri”, ma il fico è nominato come un frutto desiderato, raro, esotico, tanto che furono sacrificati “dieci, proprio dieci fichi”.

Inoltre il Codice di Hammurabi (re babilonese del 1760 ca a.C.) elencando i rifornimenti che dotano una barca, inserisce grano olio e datteri, ma non nomina fichi (v. C.H. 237).

In Campania il Dottato è stato chiamato Fico Bianco (ora Fico Bianco del Cilento), mentre in Calabria gli è rimasto l’originario nome greco Ottato o Dottato. Nei secoli si sono differenziati entro le due zone gli ecotipi locali, che tra loro restano comunque molto assimilabili.

 

la civiltà del dottato è di cosenza…

Infatti solo nel Cosentino sono state decise consapevolmente 2 scelte basilari, e le si sono mantenute in tempi lunghissimi. Sono due scelte qualitative, ancor prima che operative:
1) Coltivare la varietà Dottato
2) evitarne la caprificazione.

Perché il Dottato? In stretta sintesi, per le qualità organolettiche elevate: ottima al gusto, a piena maturazione è molto dolce, la polpa è tenera e uniforme, ha tessitura e struttura fine, ha un numero relativamente basso di semini interni (gli acheni); per motivi di utilizzo e di mercato: fruttifica in epoche in cui scarseggiano o mancano frutti di varietà altrettanto buone, infatti i fioroni maturano dalla fine di giugno a metà luglio e la seconda produzione matura già in agosto (consentendo essiccazione solare prolungata); nei frutti l’ostiolo resta chiuso o semichiuso, il ché ostacola l’ingresso di muffe; i frutti di agosto non cascolano, resistono alle piogge, poi essiccano facilmente già in pianta, successivamente su stuoie al sole con resa elevata (un terzo rispetto al peso fresco); l’essiccato è biondo dorato, bello e dolce, sotto i denti è morbido pastoso uniforme di polpa, la conservabilità dell’essiccato è ottima; se lo si sbuccia prima di essiccarlo diventa cibo raffinato per palati delicati e nobili. Dà a ettaro minor resa di una buona cultivar caprificabile, ma è ricco di miglior qualità. Inoltre, sapendoli lavorare, i frutti di Dottato sono dal conoscitore destinabili a utilizzi diversi (dalle confetture agli sciroppati).

Il Dottato è cultivar partenocarpica, cioè produce anche se non caprificato. Qualora venisse caprificato, spontaneamente o artificialmente, la Blastofaga porterebbe all’interno dei frutti del Dottato il polline del fico selvatico, che andrebbe a fecondare i fiori fertili che tappezzano una parte della  parete interna del siconio.

Lo sviluppo della locale civiltà del Dottato, è certo stato favorito dai predisponenti fattori naturali idonei alla coltivazione di questa varietà (clima mite, assenza di eccessi di temperature calda e fredda, ventilazione per lo più moderata, terreni fertili e non aridi ecc). Ma i fattori antropici sono stati determinanti: nei secoli, le necessità di auto sostentamento, gli interessi mercantili, il conservare le tradizioni sociali e riti religiosi, hanno motivato, poi sostenuto e preservato, un continuo accumulo di esperienze e di conoscenze: sul prodotto, sulle agrotecniche meglio rispondenti (lavorazioni, concimazioni, potatura, difesa), sulla raccolta esperta ecc…
Ma i migliori apporti conoscitivi sul Dottato sono di studiosi di Cosenza stessa, in particolare della famiglia Casella: nel 1915 L.A.Casella scrive “Le industrie nella provincia  di Cosenza”; il figlio Domenico Casella (abitava e aveva collezione fico a Rende) scrive nel 1934 “Il Dottato nell’industria di fichi secchi” (testo base di conoscenza) e nel 1957 la voce “Dottato” in Enciclopedia Agraria Italiana REDA, ove spiega che l’etimologia del Dottato, più ancora che dal latino “guttatus” o che ha la goccia, può derivare dal greco originario “optao” (o essicco).

Il XX secolo fa registrare un lento regresso della fichicoltura, accentuatosi dopo la seconda guerra mondiale con l’industrializzazione italiana e l’espansione di una frutticoltura a maggior reddito.
E’ seguita una ripresa, alimentata dalla seconda metà degli anni 70 da studi effettuati dall’Istituto Sperimentale per la Frutticoltura (del Ministero Agricoltura e Foreste) nel Mezzogiorno, poi approfonditi in Campania e Calabria.

In Calabria furono determinanti tre fattori: ARSSA, ISF, divulgazione. La dirigenza ARSSA identificò i problemi territoriali, quelli prioritari socio economici, le strategie di intervento; affidò le problematiche all’ISF (che già studiava le specie frutticole “povere”); diede spazio, e controllo, a divulgatori (pochi, ma ottimi). In proposito va ricordato che la divulgazione era stata voluta dall’UE per creare il necessario trasferimento dagli Enti di ricerca al territorio, degli aggiornamenti di sapere e tecnologici; ha portato all’Italia vantaggi e sviluppo enormi (adesso è demandata alle Organizzazioni politicizzate, ma non arriva al territorio proficuamente come quella originaria).